Ricordati che devi morire

A cura della dottoressa Silvia Senestro

Questa è la frase che dico più spesso ai miei pazienti ansiosi. “E no eh! Così l’ansia mi aumenta!” rispondono alcuni, mentre i più spiritosi ribattono: “Sì, no, vabbè; mo’ me lo segno!”.

Scherzi a parte, ciò di cui hanno bisogno le persone ansiose, spesso, é di salire due gradini verso l’alto e di acquisire maggiore prospettiva sulla loro vita. Avete presente quell’ingrandimento progressivo in cui si vede inizialmente una formica, poi il panino su cui essa si trova, poi la famiglia che sta facendo il picnic, poi il bosco, la regione, il continente, la Terra ed infine tutta la Galassia? Ecco, l’ansioso pensa e agisce come se avesse lo zoom fissato su quella formica. Le piccole preoccupazioni quotidiane. I doveri. Il pressing. I “non ce la faccio”. Le scadenze. “Entro oggi; entro domani”.

Le piccole incombenze, la fretta, i “sagrin” di ogni giorno, visti così da vicino, sembrano giganteschi e diventano il nostro mondo, il nostro tutto. Non solo: occupando tutto lo spazio a disposizione, ci ammorbano l’esistenza.

Anche l’ansioso vorrebbe essere felice, o almeno sereno, e avere una vita piena. Ma ci sono sempre degli impedimenti, oggi. Oggi devo fare questa cosa, devo togliermi quel pensiero, consegnare quella pratica, finire il tal corso. Domani sì, domani sì che starò bene. E invece starai uguale, bello mio, ecco la brutta notizia. E continuerai a star così finché non ti deciderai a zoomare un po’ indietro in modo da vedere qualcosa di più ampio della formica sul panino. Ciò di cui potresti aver bisogno é ottenere una visione globale sulla tua vita sotto forma di flusso: passato, presente e futuro. In questo flusso accadono gli eventi belli, brutti, molto, abbastanza e poco rilevanti. Se sto col naso appiccicato agli eventi di oggi, anche una lampadina bruciata può sembrare una catastrofe. Fai qualche passo indietro, considera la situazione in modo un po’ più globale e tutto ti sembrerà per quel che è: temporaneo. E terribilmente (o meravigliosamente) relativo. In questa prospettiva anche gli eventi di gravità media o elevata ci sembreranno più affrontabili in quanto parte di un flusso vitale, che in quanto tale presuppone degli scossoni, cambiamenti di rotta e ahimè, anche dolore. Se no non si chiamerebbe “flusso vitale” bensì “ristagno mortale”, no? Il trucco non è, quindi, sorridere dei guai (che suona bene ma fa anche un po’ incazzare per quanto finto e irrealistico) bensì guardarli dalla giusta angolazione, come inevitabili componenti di ogni esistenza.

Due gradini verso l’alto, quindi, senza dimenticare che quella formica sul panino non è immobile, ma in perenne movimento, che questo movimento non fa paura, fa parte di noi e si concluderà solo nel momento della nostra morte.

Ma siamo proprio sicuri di voler aspettare quel giorno per cessare di cercare il controllo su tutto, smettere di agitarci e lasciarci finalmente trasportare?

redazione

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